Ormai sappiamo che l’essere umano, posto davanti all’atto di dover cambiare, prova spesso paura – soprattutto in ambito lavorativo e attitudinale.
No, non ne parlo solo perché siamo nel periodo di Halloween/Ognissanti. Anche se ammetto si tratti di un’interessante coincidenza. Opterei più per l’influenza dell’Autunno, mezza stagione di passaggio per definizione, o del tradizionale significato di Samhain nella cultura celtica.
Un verso della canzone “Di domenica” dei Subsonica suggerisce che “Sono cambiamenti solo se spaventano“.
Quindi, come affrontare i periodi di transizione e sopravvivere all’esperienza?
Ma soprattutto, cosa succede quando si sceglie di dare un colpo di coda al proprio percorso professionale e personale, cambiando direzione e ribaltando il risultato meglio di Alessandro Borghese?
Facciamo un passo indietro, anzi: io faccio un passo indietro, osservando ciò che mi sono lasciata alle spalle.
Quando mi presento come professionista del digitale, la maggior parte delle persone domanda se mi sia, allora, laureata in marketing o scienze della comunicazione.
La mia risposta negativa lascia spazio, nell’ordine, alle seguenti reazioni:
- Stupore, misto a ilarità (anche e perlopiù mia)
- Indagine pseudoseria sui miei trascorsi accademici, con annesse considerazioni altrui sulle alternative che avrei potuto frequentare (embè, ho amato la mia scelta)
- Dibattito sulla volatilità delle lauree e dei titoli, con battute in tema
- Sospiro finale, con sguardo serio fisso nel mio che presagisce la domanda fatidica “No, ma seriamente, perché sei finita a fa’ sta cosa che manco ho capito che è?”
Questa scaletta è valida per chi è già entrato in contatto con il mondo del lavoro o vi si sta avvicinando di gran carriera.
La lista lascia molti sottintesi, che crollano miseramente se l’età degli interlocutori scende.
A contatto con persone più giovani, infatti, emergono tutte quelle questioni sulle quali chi deve “comportarsi da adulto” glissa volentieri, magari per timore di dover rispondere a sua volta.
– Perché hai scelto questa strada e non hai continuato sull’altra?
– Ma non ti spaventa doverti continuamente adattare a seconda dei periodi o dei progetti?
– Cosa succede ogni volta che cambi idea o strada?
– Non sarebbe più facile accontentarsi?
E poi, la bomba:
Come fai a reggere il cambiamento senza avere l’impressione di aver fallito ogni volta?
Beata adolescenza e benedetto periodo di passaggio alla maggior età!
Se esponessimo ad alta voce anche solo un quinto dei dubbi dei giovanissimi d’oggi, potremmo forse diventare tutti adulti più funzionali.
In ogni caso, la Generazione Z ha espresso perplessità lecite, che i Millennials a volte non vogliono ammettere di avere.
Viviamo infatti in una società che suggerisce di dover scegliere una sola carriera e che i cambi di rotta non sono altro che derivati di errori o fallimenti.
Orientati pure a 18 anni appena, con il presupposto che definirai la tua intera esistenza in pochi mesi, e che lo farai davanti a tutta una miriade di scelte a cui nessuno ti ha realmente preparato.
Le opzioni sono infinite, al giorno d’oggi, e i percorsi vocazionali o attitudinali sono sempre di meno.
A tal proposito, negli scorsi giorni Nas Daily ha pubblicato un interessante video sulla cosiddetta “Decision Trap“, che mette in rilievo la nostra sovraesposizione alle scelte e la crisi che ne consegue:
Arriviamo a 30 anni con l’esigenza urgente di un personal coach che ci faccia capire cosa vogliamo in realtà, perché prima siamo stati così impegnati a soddisfare le aspettative e le domandedel mondo a non esserci curati delle nostre, provando quel senso di fallimento misto a sindrome dell’impostore.
Coltiviamo raramente sogni e anche se li abbiamo, rischiano di rimanere nel breve termine, perché quelli più ambiziosi sono “troppo in alto“.
Certo, allora, che il diciottenne di adesso mi pone tutte queste domande: se gli mettiamo davanti queste prospettive, mi chiedo io come faccia a non andare in iperventilazione!
Partiamo quindi da un concetto che vorrei fosse stampato a caratteri cubitali ed esposto in ogni scuola, stazione o edificio pubblico.
Il cambiamento, da che mondo è mondo, fa paura, ma è anche la componente fondamentale della vita.
Non è vero che “se si è sempre fatto così, rimaniamo così“. D’altro canto, non bisogna per forza cambiare a tutti i costi.
Mi spiego meglio: il timore davanti al dover cambiare o decidere per una strada è cosa normale e sana, fino a quando non ci lascia arenati e in crisi, facendoci perdere più tempo che altro. A quel punto, serve mettersi davanti alle evoluzioni della nostra vita e guardarli in maniera quanto più obiettiva.
Di regola, quando avviene qualcosa che mi porta lontano rispetto al cammino fatto di recente, io mi pongo tre domande essenziali:
- Ho apprezzato l’esperienza che ho vissuto, nel momento in cui l’ho vissuta?
- Cosa ho imparato e/o cosa porto con me, ora che cambio strada?
- Ho realmente fallito? E se sì, ho avuto bisogno di provare il senso di fallimento per rendermi conto di dover cambiare?
Sembrano banalità, ma di norma mi aiutano a fare chiarezza e, soprattutto, ad andare avanti. Perchè sì, prima o poi si cade nel percorso di vita, ma non si può rimanere per sempre sul fondo del burrone.
Se poi vogliamo essere puntigliosi, io non sono capace di non cambiare attività o idea, di tanto in tanto: ad Agosto volevo scrivere più che mai, nelle ultime settimane mi esalto all’idea di girare video, tra qualche tempo potrei emigrare in Patagonia per aprire un Ostello.
Quindi, agli occhi altrui può sembrare che io sia più inconsistente, o fin troppo incline al cambiamento, a discapito di quello che ho costruito fin’ora.
La realtà è che scegliere un interesse nuovo non significa escludere tutti gli altri, come “cambiare” non è sinonimo di “fallire”.
Non siamo organismi monotematici o che si muovono su un binario singolo, anzi: propendiamo al multitasking (e non parlo solo di tendenze femminili), qualcuno perfino alla multipotenzialità.
Soprattutto, quello che funziona per altre persone non è detto sia valido anche per noi, scelte e modalità di transizione incluse.
In sostanza, la certezza nel cambiamento non esiste – come il cucchiaio in Matrix, è una nostra illusione che possiamo modellare con la volontà. Non c’è un ingrediente magico o una risposta univoca.
Cambiare può farci capire cosa non vorremo mai più intraprendere – che è, a mio parere, una possibilità di escludere strade che non ci sono affini, per concentrarci su ciò che davvero importa.
Inoltre, per quante ansie e paure possa causare, è l’unico modo per aprire le porte a nuove opportunità e periodi futuri della nostra vita.
In tal senso, ho deciso di passare alla pratica e testare nuove attività aggiuntive per lo Studio, rinnovando alcuni aspetti del sito e sperimentando Gutenberg per Wordpress con questo post – e non è tutto.
Voglio infatti dare una rinfrescata al mio approccio, curando sempre più i miei contenuti e introducendo una freschissima Newsletter / che inauguro proprio con questo post.
Non sarà l’unico cambiamento in vista, ma il primo di una serie.
In fondo, dopo un anno di Generalmente ci voleva proprio 💙
Concordo! Cambiamento è la Componente Fondamentale della VITA.